Voglio fantascienza, non scienza
Giuseppe Stampone (Clunes, Francia, 1973) vive a Roma.
L’incontro con Giuseppe a Roma, nel suo studio non distante da Piazza Navona, ha generato una interessante riflessione sul sistema e sulle dinamiche dell’arte contemporanea.
Giuseppe Stampone è per un’arte oggettiva, non soggettiva, per assecondare la necessità di creare nuovi dialoghi.
Il colore nell’arte: altro punto stimolante, perché non c’è solo “il bianco e nero politic correct” ma il colore, percepito spesso come pop, e l’importanza di rompere schemi. L’opera, secondo l’artista, acquisisce poi la giusta dimensione quando è fuori dal museo, definito come “la gabbia dell’arte”.
Partendo da esperienze tattili ha realizzato installazioni: Play, ad esempio, segna uno spartiacque tra arte interattiva e neodimensionale o partecipativa. Realizzata per la Biennale di Liverpool, è l’opera con la quale ha vinto il Premio Maretti, ma l’artista specifica che c’erano le condizioni per vincere, perché l’opera è di un collezionista giusto, il curatore è stimato, ma questo non significa che fosse la più bella o la più giusta. Di certo queste cinque casse di defunti, che diventano casse acustiche e trasmettono l’inno nazionale con l’inserimento di un euro, sono di forte impatto emotivo e creano una stretta interazione con il pubblico.
Cita i suoi modelli: Piero della Francesca, McLuhan e Pasolini, ma poi parla in modo diffuso di Nicolas Bourriaud e di Estetica relazionale.