Matteo Messori (Reggio Emilia, 1993) non ama le definizioni, non si ritiene pittore ne’ scultore, il suo è un dialogo continuo con la forma. Ha due spazi in cui lavorare a Reggio Emilia, il primo che definisce: “studio come luogo di ristoro, dove si crea la contemplazione e la meditazione, una palestra cognitiva dove permettersi di fermarsi a riflettere”; l’altro è la vecchia falegnameria ereditata dal nonno, spazio denso di storia.
La conversazione ha toccato passaggi di vita personali, intimi, fondamentali però al suo processo creativo.
Dai disegni continui che lo hanno aiutato a fronteggiare una ossessione (come racconta durante il dialogo), al ciclo di opere denominato Antiforma, tutto ciò che è privo di connotazioni, definizioni o identificazioni; l’ultima parte del suo lavoro si regge sui concetti di peso-superficie-forma, in un processo di ricerca che verte su tutto ciò che l’uomo snatura.
Sente moltissimo il senso di responsabilità anche nella scelta dei materiali, spesso trovati e recuperati, pieni di memorie tattili, in una ricerca sull’estetica dell’abbandono.
” La responsabilità è una chiamata all’ordine, non tanto come obbligo, ma come consapevolezza. Come artista sono consapevole di poter comunicare in una maniera differente; ho la responsabilità di fare, di dire delle cose, di raccogliere e percepire nello spazio a me circostante calcando la mano verso quelle che sono le mancanze, dove c’è la mancata bontà…”
E sempre alla ricerca di stimoli visivi, la natura è per lui fonte di nutrimento, si interroga sul dialogo che essa crea con quella artificiale; ama gli aneddoti più dei concetti. Insegna Discipline pittoriche e scenografiche all’Istituto Motti di Reggio Emilia, ma aggiunge ecologia; ha citato Ernesto de Martino e Italo Calvino parlando del concetto di leggerezza.
Durata del video. 11.10